Presentazione
Sabato
21 febbraio 2009 alle ore 18 presso la Chiesetta dell’Angelo in
Via Roma 80 a Bassano del Grappa (VI), si apre la mostra di Gian
Paolo Lucato dal titolo
Trans-paesaggi.
Periodo:
21 febbraio 15 marzo 2009
Apertura:
da martedì a domenica 15.00- 18
Questa
mostra, organizzata dall’Assessorato alla Cultura, è
composta di una ventina di fotografie elaborate al computer del
formato 60x90, realizzate nell’arco di tre anni 2007- 2009.
Sono
delle fotografie di paesaggi naturali, spesso giardini di ville
venete, parchi pubblici londinesi, ed altro; comunque ambienti
silenziosi e solitari. Spazi magici. Su queste immagini interviene
con tagli virtuali che lacerano il paesaggio, oppure creando un gioco
di chiaroscuro organizzato entro strutture geometriche ben definite
ottenendo una spazialità difforme rispetto all’originale.
--o--
La
fotografia tradizionale (analogica) è un puro strumento di
registrazione: essa, in qualche modo, è al totale servizio del
reale: ne dà una testimonianza oggettiva, ne suggella in
maniera scrupolosa e ossessiva i dati concreti. Lo rileva a chiare
lettere anche lo studioso tedesco S. Kracauer: “Il fotografo –
scrive – deve riprodurre gli oggetti posti davanti al suo
obiettivo e gli manca assolutamente la libertà, il privilegio
che invece ha l’artista, quello cioè di disporre le
forme esistenti e le loro reciproche relazioni spaziali secondo la
loro intima visione”. Ebbene, quando Gian Paolo Lucato inquadra
un parco, una veduta marina, una cascata non lo fa per riprodurre a
specchio il mondo, quanto invece per interpretarlo, se non
addirittura per trasfigurarlo. Non gli interessa certificare,
autotentificare, documentare l’esistente né tantomeno
produrre “una memoria di ciò che è stato”
(come avrebbe detto R. Barthes): gli preme invece creare immagini
capaci di trasformare i luoghi in dimensioni incollocabili che
giocano tra l’uno e l’infinito, il limite e l’illimitato,
il conosciuto e il conoscibile.Il taglio apre
spazi infiniti, si insinua e moltiplica la lettura dell’immagine,
sottoponendola a un vortice di sensi che portano verso un’ineludibile
alterità, al sospetto che qualcosa di meraviglioso e insieme
di estraneo s’introduce nel suo campo visivo.Non
è la tipicità di un determinato ambiente, la
peculiarità di un angolo di mondo ad interessare Lucato, ma la
visibilità dello stesso angolo (dello stesso ambiente). Egli
non è spinto a cercare una particolare inquadratura, ma un
particolare modo di vedere (che coincide anche con un particolare
modo di pensare). Così, la sua fotografia, anche senza ridursi
ad una pura pratica analitica o alla investigazione del proprio
stesso linguaggio, si fa comunque riflessione su quelli che sono i
processi percettivi e diventa verifica della natura convenzionale
della rappresentazione. Lucato sembra porsi gli stessi quesiti di
Merleau-Ponty: e cioè esiste la possibilità di cogliere
il visibile oppure ogni tentativo è votato allo scacco? Si può
redigere un bilancio esaustivo di quelli che sono i dati mondani o si
è costretti a proseguire aldilà di ogni esperienza, per
mettere in campo tutta una serie di strategie operative, capaci di
cambiare, alterare, chiarire, approfondire, confermare, esaltare,
ricreare quello che si dà direttamente alla vista?
Luigi
Meneghelli, dalla presentazione del catalogo “Trans-paesaggi”
2008
A
cura di Flavia Casagranda
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Caro
Gian Paolo
...
Molte cose si potrebbero dire , proprio perchè le tue opere
possono essere lette ai diversi livelli : sarebbe necessaria una
riflessione comparata che si fonda sui diversi campi del sapere :
storico, artistico , filosofico, biologico etc. e quindi il lavoro di
un equipe di specialisti; proprio per questo io parlo di “impressioni
e riflessioni” personali , che scaturiscono dal dialogo delle
opere con me stesso piuttosto che rivelare un giudizio di carattere
oggettivo.Ciascuna tua opera esprime una dirompente potenza plastica che la rende carica
di senso esistenziale , opera “inquieta” , tappa
di un percorso di ricerca artistica ma soprattutto filologica e
filosofica che meriterebbe altre sedi oltre la pur bella Chiesetta di
Bassano. E' un percorso del conoscere che parte dalla prima comune
elaborazione percettiva della realtà , dal “fenomeno”
oggettivo , che tuttavia appare come il primo superficiale strato ,
la prima pelle , per poi sprofondare nell'universo dello
stravolgimento dei sensi ( sensi fisiologici ma anche significati
concettuali).E'
proprio il paesaggio conosciuto, eidetico e reale , che si presta
come il punto di partenza , come l'inizio di dialogo con gli altri (
in ciò tu fondi la possibilità di comunicazione ,
ritieni possibile il parlare e il capirsi) che “apre” la
strada e che prosegue, attraverso una progressiva, impercettibile
, continua trasfigurazione volontaria , a ribadire la propria
esistenza e la propria trasformazione allo stesso tempo. Il primo
passo lo compi tu , iniziando a togliere il velo dell'opera , ma
lasci poi all'osservatore compiere il passo successivo.Ma,
tolto il primo strato , cosa c'è se non il medesimo paesaggio,
e poi ancora il medesimo paesaggio , e così via all'
infinito...? Tuttavia questa non è una reiterazione nichilista
, un loop tautologico infinito: infatti ogni strato non è mai
uguale al precedente ; lo stesso paesaggio presenta delle variazioni
infinitesimali di luce , ma anche di forma , che lo rendono dinamico
in sé : il paesaggio si autoafferma e si nega allo stesso
tempo , e questa è una operazione logica assurda , un
paradosso prodotto dalla mente che trova tuttavia conferma nelle più
recenti teorie della fisica contemporanea, se è vero che
questo Universo ha avuto inizio proprio per una asimmetria delle
condizioni iniziali. Si può evidenziare come il paesaggio
sembra oscillare tra due stati contrapposti e complementari di
massima luminosità e massima oscurità : in alcune opere
questo è affermato in maniera evidente , ove luce e buio
diventano gli attori principali di questa metamorfosi del senso,
scambiandosi addirittura le proprie prerogative, come ha giustamente
rilevato la curatrice della mostra; in altre opere questa metamorfosi
è più sottile ed avviene per gradi , per piani
sovrapposti , secondo un preciso ritmo di scansione verticale oppure
orizzontale ; in altre opere ancora questo tipo di metamorfosi sembra
del tutto assente : in realtà proprio in queste opere la
trasformazione si attua soprattutto sul piano della texture della
superficie del quadro , con quei curvamenti dello spazio-tempo ,
quegli sfasamenti dei particolari che tanto ricordano alcuni concetti
della relatività generale e che conferiscono all 'opera stessa
la qualità dell' “Universo in sè”.Si può
quindi parlare di una macro e di una microvariazione sussistenti
contemporaneamente in ogni opera, ed in reciproco equilibrio : alla
metamorfosi della forma-spazio si contrappone la metamorfosi della
vibrazione luminosa , al concetto della relatività einsteniana
fa eco il principio di indeterminazione di Heisenberg , ad una
analisi di natura quantitativa che si attua sul piano delle forme
sempre corrisponde una controanalisi di natura qualitativa che si
attua sul piano del colore. Questa oscillazione avviene non solo tra
le teorie contrapposte , ma nell'ambito di ciascuna teoria anche tra
gli elementi che la compongono; così le forme stesse
oscillano tra la rappresentazione architettonica classica che
dovrebbe per sua natura essere oggettiva e rappresentazione
pseudotridimensionale che invece per sua natura è l'operazione
logica dell' atto creativo.Ciò
che rimane impresso delle tue opere è soprattutto l' azione
vibrante e penetrante della luce e del buio , e che si pongono come
principi di trasformazione delle cose nel loro fondersi e confondersi
continuamente,nel loro sfumarsi reciproco , e di cui tu evidenzi
l'azione quasi per fotogrammi ; essi sussistono indipendentemente
dalle forme , penetrano le forme , e oserei dire che quasi
costituiscono l' impronta digitale dell'opera. Sono questi elementi
che conferiscono al quadro quella potenza plastica di cui parlavo
all'inizio , poiché sono elementi fisici che oggi sappiamo
connaturati ma che dal punto di vista emotivo continuano a possedere
quella valenza psicologica di principi antagonisti che si è
sedimentata nell'inconscio collettivo nel corso della storia
dell'umanità : luce – buio ; presenza – assenza ;
bene – male ... Lo spessore dell' opera , la plasticità
dell' opera in sé , è più un atto emotivo che un
atto visivo , è un sentimento più che una
descrizione....Notevole
è anche la tua contrapposizione alla concezione cubista e
futurista della sovrimpressione delle immagini ; mentre nel cubismo
era l'osservatore a spostarsi , ed il prodotto finale non poteva
essere l'essenza dell'oggetto ma una sommatoria di impressioni ,
mentre il futurismo postulava una rappresentazione del dinamismo che
in realtà poco aveva a che fare con l'essenza stessa del
movimento ( come ben aveva compreso Malevic, il quale voleva
utopisticamente superare la forma naturale) , nella tua opera è
il paesaggio a mutare , o meglio a trasmutare ; ma è veramente
il paesaggio che muta , oppure questa trasformazione è il
frutto di una azione psichica , di una volontà creatrice , di
una presa intellettuale sulla materia? Mi sembra che le tue opere
siano veramente delle realtà psichiche definite , delle
immagini mentali che partono da una primitiva rappresentazione
percettiva del reale e la sprofondano nell'interiorità
psichica ; è questa una ricerca che avviene con gli strumenti
della logica , ma anche dell'intuizione e del sentimento , un
tentativo per rispondere ai quesiti fondamentali dell'uomo e della
vita. In esse ritrovo anche una potente carica erotica, quella
stessa carica che nelle mostre precedenti era forse più
evidente ( e forse proprio per questo motivo meno incisiva) ;
l'affermazione di questa potenza cosmica generatrice, che non crea le
cose ma le muove e le trasforma continuamente , questa libido che si
trasforma all'interno dell'opera stessa , e che rende ciascuna opera
figura antropomorfa , Venere ancestrale , immagine della Grande
Madre Terra nel cui utero si eterna e si riconferma l'esistenza degli
esseri .
Termino
questo mio discorso con una citazione da Lucrezio (De Rerum Natura ,
versi 215-230) che mi sembra abbia una affinità con le tue
opere :
Vediamo
che la natura, nel dissolvere i corpi,
libera
i vari elementi ma non li distrugge:
se
no tutto potrebbe cessare all'istante di esistere
se
contenesse in se stesso qualche elemento mortale
non
occorrendo che giunga una forza a dividere
le
parti di cui si compone o a disfarne la trama.
Invece
quello che esiste è fatto di eterni elementi
congiunti
tra loro e termina solo se forze adeguate
vanno
a scomporli con urti e ad inserirsi nei vuoti:
ma
la natura non lascia che un solo elemento perisca.
Se
tutte le cose che il tempo ha già consumato
risultassero
estinte, e quella materia distrutta,
come
farebbe Venere a continuare a far nascere
le
nuove generazioni, e in che modo la terra
potrebbe
concedere loro ciò che occorre a nutrirle?
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A
presto
Sergio
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